Riflettere ancora di VERA BUGATTI 

Servono anni per accettare completamente la nostra unicità come risorsa. 

È risaputo quanto sia confortante il sentirsi simili agli altri, una panacea. Per certi aspetti in fondo la diversità non esclude la somiglianza ma spesso si rifugge dal primo aspetto per adagiarsi in una zona confortevole e stereotipata, che mette meno in gioco. 

L’omologazione culturale e la difficoltà di reperire modelli identitari di riferimento rappresentano però fattori di disagio psico-relazionale, soprattutto negli adolescenti. Lo standard snatura e forza l’essenza della persona mentre l’unicità autentica rende possibile l’arricchimento reciproco e fa nascere sinergie.

Nell’opera campeggiano due figure femminili, incassate in uno spazio angusto. Al centro una giovane donna con uno specchio in mano e lo sguardo titubante diretto all’osservatore. In primo piano una bambina con una vecchia sciarpa, intenta a osservare lo specchio e i suoi riflessi. In alto un canarino posato sulle dita della donna, anch’esso incuriosito dallo specchio, in basso una mela e un biglietto, fra le mani della bambina.

Le due figure potrebbero essere la stessa persona in fondo, in due fasi della vita. Nello specchio la chiave di lettura. Chi vediamo realmente attraverso vari e multiformi schermi riflettenti? 

Se l’apparenza continua ad essere schiavitù (soprattutto femminile) cosa resta davvero delle nostre unicità? Cosa è sinceramente profondo, se il contenuto diventa un’eco flebile dell’immagine? 

Riflettere in fondo ha molteplici significati: è rimandare indietro la luce ma anche costituire una ripercussione, una conseguenza o un effetto, medesimamente continuare, essere l’esito, rivolgere la mente su un oggetto del pensiero e soprattutto riconsiderarlo con attenzione.  

Nella mela un simbolo plurisignificante di redenzione e perdizione, spiritualità e vanità ma anche memoria di un tempo di difficoltà economiche e sacrifici che segnò il luogo che ospita la mia opera. Il foglietto fra le mani della bimba rimanda infatti al quartiere popolare sorto lungo l’antica strada arginale detta Cengiaretto, che nel 1943, in seguito alla caduta del fascismo, fu rinominato Borgo XXV luglio. La vicenda mi ha fatto ripensare alla libertà riconquistata con la liberazione che era anche possibilità di dissentire, di esprimere opinioni diverse da quelle di un regime, diritto mai scontato e che spesso rischiamo di sottovalutare. 

Se avessi realizzato il bozzetto con un paio di settimane di ritardo probabilmente avrei dipinto un pezzo ispirato dalle proteste scoppiate in Iran dopo l’uccisione di Mahsa Amini e Hadith Najafi. 

La mia opera voleva essere una riflessione etica sulla unicità. Eppure, credo che un filo leghi accettazione di sé e dell’altro e parità di diritti a tutti i livelli, contro ogni regime o stato repressivo. 

Vorrei quindi dedicare questo pezzo alle donne iraniane e al loro coraggio (ne avessi un briciolo) ma anche agli uomini che le stanno appoggiando.